"Coltivare la memoria e riscoprire il valore della Resistenza oggi
per mantenere vivo il fiore della democrazia"
La Resistenza nei confronti del nazismo e del fascismo si manifestò in varie
forme.
Innanzi tutto quella dei reparti militari che, dopo l’8 settembre 1943,
non si arresero ma, in Grecia come in Italia, combatterono contro i tedeschi.
Inoltre furono molti coloro che, a rischio della vita o della
deportazione in Germania, non si arruolarono nelle forze armate della
Repubblica di Salò.
Infine, vi furono le formazioni partigiane vere e proprie, cui
aderirono soprattutto militanti comunisti, ma anche numerosi cattolici ed
esponenti di vari altri orientamenti politici.
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La
situazione più difficile fu quella dei reparti che si trovavano in Grecia, in
Jugoslavia o nelle isole dell’Egeo, nel momento in cui decidevano di non
arrendersi e di non cedere le armi ai tedeschi.
L’episodio
più drammatico si verificò a Cefalonia, un’isola del Mar Ionio presidiata
dalla Divisione Acqui, che fu completamente sterminata dai tedeschi
dopo alcuni giorni di violento combattimento (15-22 settembre 1943).
Anche
quelli che si arresero vennero fucilati, col risultato che, a Cefalonia,
morirono 84 mila soldati italiani.
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Nell’Italia
occupata la maggior parte dei giovani non rispose ai bandi di arruolamento
emanati dalla Repubblica Sociale, bensì andò ad ingrossare il movimento della
Resistenza che, per motivazioni ideali e politiche diverse, intendeva opporsi
con le armi al nuovo Stato fascista e all’esercito nazista.
Sulla base dei loro diversi orientamenti politici (comunisti, socialisti, cattolici) si costituirono diverse formazioni partigiane che agirono, soprattutto in montagna, con azioni di sabotaggio, attentati contro convogli, blitz per procurarsi armi e viveri.
Tali
furono infatti le caratteristiche della “guerra partigiana” che in alcuni
casi portò alla liberazione di intere zone, anche se il loro controllo non
durò a lungo.
Nei territori liberati, tra
l’estate e l’autunno 1944, furono costituite le “Repubbliche partigiane”.
La Resistenza coinvolse quasi 500 mila uomini e donne nell’Italia del nord. Questo movimento vide, per la prima volta nella storia d’Italia, una enorme partecipazione di diversi settori della popolazione, tra cui molte persone di estrazione operaia e contadina, riunite, nel nome dell’antifascismo, dalla volontà di garantire un futuro più democratico allo Stato e alla società italiana.
L’eccezionalità
di un evento
Nel
quadro degli eventi militari collegati alla proclamazione dell’armistizio dell’8
settembre 1943, la vicenda della divisione Acqui a Cefalonia e Corfù resta
senz’altro la più significativa, non solo perché si tratta dell’azione più
consistente di resistenza armata ai tedeschi tra quelle attuate nei giorni
immediatamente successivi – e, almeno idealmente, può essere considerato,
anche se questa interpretazione non è da tutti accettata, uno degli atti che
apre la Resistenza al nazi-fascismo – ma perché rappresenta, per numero di
vittime, la maggiore strage perpetrata dai tedeschi nel corso della Seconda
guerra mondiale a danno di cittadini italiani e l’unico episodio in cui
vengono uccisi in massa, dopo la resa, anche i soldati.
Strage di Cefalonia
Che
cos’è avvenuto nelle Isole Ionie nel settembre 1943?
A
Cefalonia vi sono tra 9.000 e 11.000 soldati e sottufficiali italiani, gli
ufficiali sarebbero secondo le valutazioni tedesche meno di 400, gli italiani
indicano tradizionalmente la cifra di 525.
Un
presidio tedesco di 1.800 uomini è presente sull’isola, in una situazione di
momentanea inferiorità.
Antonio Gandin
Comandante della Divisione Acqui
Tra
il 9 e l’11 settembre, su richiesta del comandante tedesco, tenente
colonnello Barge, il generale Gandin accetta di consegnare l’importante
posizione di Kardakata e il controllo del porto di Argostoli; il giorno 11
Barge chiede di cedere le armi sulla base dell’ordine giunto a Cefalonia dal
Comando di Atene. Gandin rifiuta e avvia una trattativa per essere
rimpatriato in Italia con le armi.
Soldati italiani a Cefalonia
Non tutti gli studiosi sono concordi nel ritenere che
contemporaneamente giunga a Cefalonia l’ordine del Comando Supremo di
considerare nemici i tedeschi.
Da
subito sono comunque contrari alla cessione delle armi la Marina,
l’Artiglieria, i Carabinieri e la Guardia di Finanza; dopo avere rifiutato
l’aiuto offerto dalla missione militare alleata a Cefalonia, Gandin il 12
ordina a cinque battaglioni di Fanteria di depositare le armi nei magazzini,
ma rinuncia per la reazione che si diffonde nei reparti e per l’opposizione
di alcuni ufficiali; il 13 la divisione dovrebbe raccogliersi in due zone,
secondo quanto concordato con Barge, ma dopo avere diramato l’ordine, fa
rientrare i battaglioni in seguito alle richieste pressanti del tenente
colonnello Deodato, dei comandanti dei Carabinieri e della Marina e di alcuni
giovani ufficiali dell’Artiglieria. Il generale, che aveva già richiesto e
ottenuto un parere favorevole sulla cessione delle armi agli ufficiali del
Consiglio di guerra e ai cappellani militari, consultati per conoscere il
parere della truppa, dopo che il giorno 13 le artiglierie italiane presenti
nella baia di Argostoli, sede del Comando italiano, colpiscono due grosse
zattere che cercano di sbarcare truppe tedesche e divenuta evidente la
diffusa avversione alla cessione delle armi, decide di consultare anche i
reparti sulle tre alternative possibili: «contro i tedeschi, insieme ai
tedeschi, cessione delle armi». Prevale tra i soldati la prima scelta, anche
se vi è la consapevolezza che i tedeschi sul continente interverranno
rapidamente in appoggio al distaccamento presente sull’isola maggiore.
L' orizzonte a Cefalonia
Il giorno 14 Gandin invia al Comando tedesco una «notifica» in cui comunica che la divisione si rifiuta di accettare l’ordine di resa e che è disposta a combattere pur di mantenere le armi. Il giorno successivo, mentre sono ancora in corso trattative tra le due delegazioni, l’aviazione nemica inizia a bombardare la città di Argostoli e le postazioni italiane, poco dopo inizia l’attacco da terra. I combattimenti vedono una iniziale prevalenza italiana, con la resa dei tedeschi attestati nel capoluogo; si cerca di riconquistare le posizioni cedute ai tedeschi nei giorni precedenti, ma con scarsi risultati e con molte perdite, perché gli attacchi avvengono sotto i pesanti bombardamenti degli Stukas.
Cefalonia
Mentre
dall’Italia risulta impossibile inviare aiuti, nei giorni successivi, a ovest
e a nord dell’isola, riescono a sbarcare reparti tedeschi con armamento
pesante. Dopo una settimana di combattimenti, il giorno 22, la divisione
Acqui si arrende. Nei combattimenti muoiono centinaia di soldati italiani e
decine di ufficiali; i sopravvissuti ai combattimenti «sono trattati secondo
gli ordini del Führer» e, man mano che si arrendono nel corso della
battaglia, contrariamente a tutti i regolamenti internazionali che
definiscono i comportamenti degli eserciti belligeranti, sono immediatamente
passati per le armi. Secondo le valutazioni dei comandanti tedeschi e di una
parte delle fonti italiane, i caduti sono complessivamente circa 4.000,
compresi circa 200 ufficiali.
Soldati a Cefalonia
Dopo la resa della divisione, avvenuta il 22 settembre, la vendetta tedesca si concentra sugli ufficiali, che vengono separati dai soldati e dai sottufficiali e sistematicamente eliminati: tra il 24 e il 25 settembre, alla casetta rossa di capo San Teodoro, nei pressi di Argostoli, capoluogo di Cefalonia, vengono fucilati quasi tutti gli ufficiali prigionieri, forse 129 secondo i dati più accreditati, altri sette il 25, ma probabilmente i numeri reali sono più alti.
Soldati in combattimento a Cefalonia
Si
salvano dalle fucilazioni una quarantina di ufficiali, costretti ad aderire
alla Repubblica sociale italiana e quasi tutti trasferiti in Germania in
campi di addestramento. Una parte dei corpi dei soldati uccisi, oltre agli
ufficiali caduti a capo San Teodoro, è gettata in mare all’entrata della baia
di Argostoli, mentre altre centinaia di corpi sono bruciati in grandi falò
che illuminano la notte dell’isola.
Manifesto a Milano dell'eccidio di Cefalonia
Tutti gli altri
resti sono abbandonati senza alcuna sepoltura.
Anche a Corfù il comandante, colonnello Lusignani, con circa 4.000 uomini, decide di respingere l’ultimatum tedesco e di combattere. Nei giorni successivi giungono due cacciatorpediniere italiani, che vengono però colpiti, gli inglesi promettono aiuti, ma non arriveranno in tempo.
Articolo sulla resistenza a Cefalonia
Il 24 settembre i tedeschi riescono a sbarcare in forze e il giorno successivo gli italiani sono costretti alla resa. Nei combattimenti o in seguito alle fucilazioni avvenute immediatamente dopo la fine degli scontri muoiono 640 tra soldati, sottufficiali e ufficiali, tra questi i colonnelli Lusignani e Bettini, che sono fucilati assieme ad altri 19 ufficiali dopo la resa, mentre i feriti sono 1.200, ma non vi sono i massacri di massa di Cefalonia. Molti uomini cercano di fuggire via mare, la maggior parte viene catturata e trasferita in Germania. Altri soldati saranno uccisi sulle imbarcazioni utilizzate per il trasferimento in Grecia.
Cefalonia, immagine estratta dal volume di Hermann Frank
Particolarmente
significativo è il percorso attivato all’interno della divisione, dopo le
prime trattative formali tra i due comandanti, per decidere di respingere
l’ultimatum tedesco. Inizialmente lo Stato maggiore della divisione sarebbe
disposto ad accettare l’imposizione di cedere le armi, ma alcuni reparti,
soprattutto gli artiglieri e i marinai, sono contrari, dopo che erano giunte
notizie sulle reali intenzioni dei tedeschi, che promettevano il rimpatrio in
Italia delle truppe che avessero ceduto le armi, mentre in realtà si
preparavano a deportarli in Germania e avevano operato rappresaglie su coloro
che già si erano arresi su altre isole o sul continente. Il generale Gandin
sceglie di consultare i reparti sulla decisione da prendere. Le truppe
esprimeranno in varie forme un orientamento chiaro: a grandissima maggioranza
decideranno di non cedere le armi e di resistere all’imposizione tedesca.
La
sorte dei sopravvissuti
Finita la strage,
nelle Isole Ionie rimangono tra 9.000 e 10.000 prigionieri italiani, 5.000
dei quali sono i sopravvissuti di Cefalonia.
Altri soldati
moriranno, per la fame e gli stenti, nei centri di raccolta dell’isola, dove
rimarranno circa un migliaio di prigionieri fino alla partenza dei tedeschi,
nel settembre del 1944, o nei diversi campi di deportazione allestiti
nell’area balcanica e nell’Europa dell’Est, circa 2.500 in totale, che
seguiranno le vicissitudini degli altri 6-700.000 soldati italiani internati
dal governo tedesco; dei 6.400 prigionieri imbarcati a Cefalonia per essere
trasferiti sul continente, in Grecia, di cui 2.550 provenienti da Zacinto,
circa 1.350, quasi tutti soldati sopravvissuti all’eccidio di Cefalonia,
moriranno nell’affondamento di tre navi; da Corfù partiranno circa 9.100
soldati, molti però già provenienti da reparti catturati sul continente,
l’affondamento di una nave trasporto provoca molte centinaia di morti, ma è
impossibile attribuire le vittime ai reparti di origine. Nel novembre 1944, i
militari italiani rimasti a Cefalonia, a cui si erano aggiunti uomini
provenienti dal continente, in totale circa 1.300 soldati, inquadrati nel
Raggruppamento banditi Acqui agli ordini del capitano Apollonio, rientrano in
Italia, ad eccezione di un centinaio di volontari che continueranno la lotta
assieme ai partigiani comunisti.
Alla fine della
guerra, dei circa 5.000 sopravvissuti della divisione Acqui a Cefalonia solo
3.500 saranno riusciti a tornare in Patria.
Lacken, 3 settembre 2015
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