giovedì 3 settembre 2015

Il massacro di Cefalonia


"Coltivare la memoria e riscoprire il valore della Resistenza oggi 

per mantenere vivo il fiore della democrazia"



La Resistenza nei confronti del nazismo e del fascismo si manifestò in varie forme.

Innanzi tutto quella dei reparti militari che, dopo l’8 settembre 1943, non si arresero ma, in Grecia come in Italia, combatterono contro i tedeschi.

Inoltre furono molti coloro che, a rischio della vita o della deportazione in Germania, non si arruolarono nelle forze armate della Repubblica di Salò.

Infine, vi furono le formazioni partigiane vere e proprie, cui aderirono soprattutto militanti comunisti, ma anche numerosi cattolici ed esponenti di vari altri orientamenti politici.

La situazione più difficile fu quella dei reparti che si trovavano in Grecia, in Jugoslavia o nelle isole dell’Egeo, nel momento in cui decidevano di non arrendersi e di non cedere le armi ai tedeschi.

L’episodio più drammatico si verificò a Cefalonia, un’isola del Mar Ionio presidiata dalla Divisione Acqui, che fu completamente sterminata dai tedeschi dopo alcuni giorni di violento combattimento (15-22 settembre 1943).

Anche quelli che si arresero vennero fucilati, col risultato che, a Cefalonia, morirono 84 mila soldati italiani.


Nell’Italia occupata la maggior parte dei giovani non rispose ai bandi di arruolamento emanati dalla Repubblica Sociale, bensì andò ad ingrossare il movimento della Resistenza che, per motivazioni ideali e politiche diverse, intendeva opporsi con le armi al nuovo Stato fascista e all’esercito nazista.


Sulla base dei loro diversi orientamenti politici (comunisti, socialisti, cattolici) si costituirono diverse formazioni partigiane che agirono, soprattutto in montagna, con azioni di sabotaggio, attentati contro convogli, blitz per procurarsi armi e viveri.


Tali furono infatti le caratteristiche della “guerra partigiana” che in alcuni casi portò alla liberazione di intere zone, anche se il loro controllo non durò a lungo.

Nei territori liberati, tra l’estate e l’autunno 1944, furono costituite le “Repubbliche partigiane”.

La Resistenza coinvolse quasi 500 mila uomini e donne nell’Italia del nord. Questo movimento vide, per la prima volta nella storia d’Italia, una enorme partecipazione di diversi settori della popolazione, tra cui molte persone di estrazione operaia e contadina, riunite, nel nome dell’antifascismo, dalla volontà di garantire un futuro più democratico allo Stato e alla società italiana.


L’eccezionalità di un evento

Nel quadro degli eventi militari collegati alla proclamazione dell’armistizio dell’8 settembre 1943, la vicenda della divisione Acqui a Cefalonia e Corfù resta senz’altro la più significativa, non solo perché si tratta dell’azione più consistente di resistenza armata ai tedeschi tra quelle attuate nei giorni immediatamente successivi – e, almeno idealmente, può essere considerato, anche se questa interpretazione non è da tutti accettata, uno degli atti che apre la Resistenza al nazi-fascismo – ma perché rappresenta, per numero di vittime, la maggiore strage perpetrata dai tedeschi nel corso della Seconda guerra mondiale a danno di cittadini italiani e l’unico episodio in cui vengono uccisi in massa, dopo la resa, anche i soldati.

Strage di Cefalonia

Che cos’è avvenuto nelle Isole Ionie nel settembre 1943?

A Cefalonia vi sono tra 9.000 e 11.000 soldati e sottufficiali italiani, gli ufficiali sarebbero secondo le valutazioni tedesche meno di 400, gli italiani indicano tradizionalmente la cifra di 525.
Un presidio tedesco di 1.800 uomini è presente sull’isola, in una situazione di momentanea inferiorità.


Antonio Gandin
Comandante della Divisione Acqui


Tra il 9 e l’11 settembre, su richiesta del comandante tedesco, tenente colonnello Barge, il generale Gandin accetta di consegnare l’importante posizione di Kardakata e il controllo del porto di Argostoli; il giorno 11 Barge chiede di cedere le armi sulla base dell’ordine giunto a Cefalonia dal Comando di Atene. Gandin rifiuta e avvia una trattativa per essere rimpatriato in Italia con le armi.

Soldati italiani a Cefalonia
Non tutti gli studiosi sono concordi nel ritenere che contemporaneamente giunga a Cefalonia l’ordine del Comando Supremo di considerare nemici i tedeschi.
Da subito sono comunque contrari alla cessione delle armi la Marina, l’Artiglieria, i Carabinieri e la Guardia di Finanza; dopo avere rifiutato l’aiuto offerto dalla missione militare alleata a Cefalonia, Gandin il 12 ordina a cinque battaglioni di Fanteria di depositare le armi nei magazzini, ma rinuncia per la reazione che si diffonde nei reparti e per l’opposizione di alcuni ufficiali; il 13 la divisione dovrebbe raccogliersi in due zone, secondo quanto concordato con Barge, ma dopo avere diramato l’ordine, fa rientrare i battaglioni in seguito alle richieste pressanti del tenente colonnello Deodato, dei comandanti dei Carabinieri e della Marina e di alcuni giovani ufficiali dell’Artiglieria. Il generale, che aveva già richiesto e ottenuto un parere favorevole sulla cessione delle armi agli ufficiali del Consiglio di guerra e ai cappellani militari, consultati per conoscere il parere della truppa, dopo che il giorno 13 le artiglierie italiane presenti nella baia di Argostoli, sede del Comando italiano, colpiscono due grosse zattere che cercano di sbarcare truppe tedesche e divenuta evidente la diffusa avversione alla cessione delle armi, decide di consultare anche i reparti sulle tre alternative possibili: «contro i tedeschi, insieme ai tedeschi, cessione delle armi». Prevale tra i soldati la prima scelta, anche se vi è la consapevolezza che i tedeschi sul continente interverranno rapidamente in appoggio al distaccamento presente sull’isola maggiore. 

L' orizzonte a Cefalonia

Il giorno 14 Gandin invia al Comando tedesco una «notifica» in cui comunica che la divisione si rifiuta di accettare l’ordine di resa e che è disposta a combattere pur di mantenere le armi. Il giorno successivo, mentre sono ancora in corso trattative tra le due delegazioni, l’aviazione nemica inizia a bombardare la città di Argostoli e le postazioni italiane, poco dopo inizia l’attacco da terra. I combattimenti vedono una iniziale prevalenza italiana, con la resa dei tedeschi attestati nel capoluogo; si cerca di riconquistare le posizioni cedute ai tedeschi nei giorni precedenti, ma con scarsi risultati e con molte perdite, perché gli attacchi avvengono sotto i pesanti bombardamenti degli Stukas. 

Cefalonia


Mentre dall’Italia risulta impossibile inviare aiuti, nei giorni successivi, a ovest e a nord dell’isola, riescono a sbarcare reparti tedeschi con armamento pesante. Dopo una settimana di combattimenti, il giorno 22, la divisione Acqui si arrende. Nei combattimenti muoiono centinaia di soldati italiani e decine di ufficiali; i sopravvissuti ai combattimenti «sono trattati secondo gli ordini del Führer» e, man mano che si arrendono nel corso della battaglia, contrariamente a tutti i regolamenti internazionali che definiscono i comportamenti degli eserciti belligeranti, sono immediatamente passati per le armi. Secondo le valutazioni dei comandanti tedeschi e di una parte delle fonti italiane, i caduti sono complessivamente circa 4.000, compresi circa 200 ufficiali. 

Soldati a Cefalonia

Dopo la resa della divisione, avvenuta il 22 settembre, la vendetta tedesca si concentra sugli ufficiali, che vengono separati dai soldati e dai sottufficiali e sistematicamente eliminati: tra il 24 e il 25 settembre, alla casetta rossa di capo San Teodoro, nei pressi di Argostoli, capoluogo di Cefalonia, vengono fucilati quasi tutti gli ufficiali prigionieri, forse 129 secondo i dati più accreditati, altri sette il 25, ma probabilmente i numeri reali sono più alti. 

Soldati in combattimento a Cefalonia



Si salvano dalle fucilazioni una quarantina di ufficiali, costretti ad aderire alla Repubblica sociale italiana e quasi tutti trasferiti in Germania in campi di addestramento. Una parte dei corpi dei soldati uccisi, oltre agli ufficiali caduti a capo San Teodoro, è gettata in mare all’entrata della baia di Argostoli, mentre altre centinaia di corpi sono bruciati in grandi falò che illuminano la notte dell’isola.
Manifesto a Milano dell'eccidio di Cefalonia
Tutti gli altri resti sono abbandonati senza alcuna sepoltura.
Anche a Corfù il comandante, colonnello Lusignani, con circa 4.000 uomini, decide di respingere l’ultimatum tedesco e di combattere. Nei giorni successivi giungono due cacciatorpediniere italiani, che vengono però colpiti, gli inglesi promettono aiuti, ma non arriveranno in tempo. 

Articolo sulla resistenza a Cefalonia

Il 24 settembre i tedeschi riescono a sbarcare in forze e il giorno successivo gli italiani sono costretti alla resa. Nei combattimenti o in seguito alle fucilazioni avvenute immediatamente dopo la fine degli scontri muoiono 640 tra soldati, sottufficiali e ufficiali, tra questi i colonnelli Lusignani e Bettini, che sono fucilati assieme ad altri 19 ufficiali dopo la resa, mentre i feriti sono 1.200, ma non vi sono i massacri di massa di Cefalonia. Molti uomini cercano di fuggire via mare, la maggior parte viene catturata e trasferita in Germania. Altri soldati saranno uccisi sulle imbarcazioni utilizzate per il trasferimento in Grecia.
Cefalonia, immagine estratta dal volume di Hermann Frank



Particolarmente significativo è il percorso attivato all’interno della divisione, dopo le prime trattative formali tra i due comandanti, per decidere di respingere l’ultimatum tedesco. Inizialmente lo Stato maggiore della divisione sarebbe disposto ad accettare l’imposizione di cedere le armi, ma alcuni reparti, soprattutto gli artiglieri e i marinai, sono contrari, dopo che erano giunte notizie sulle reali intenzioni dei tedeschi, che promettevano il rimpatrio in Italia delle truppe che avessero ceduto le armi, mentre in realtà si preparavano a deportarli in Germania e avevano operato rappresaglie su coloro che già si erano arresi su altre isole o sul continente. Il generale Gandin sceglie di consultare i reparti sulla decisione da prendere. Le truppe esprimeranno in varie forme un orientamento chiaro: a grandissima maggioranza decideranno di non cedere le armi e di resistere all’imposizione tedesca.



La sorte dei sopravvissuti

Finita la strage, nelle Isole Ionie rimangono tra 9.000 e 10.000 prigionieri italiani, 5.000 dei quali sono i sopravvissuti di Cefalonia.
Altri soldati moriranno, per la fame e gli stenti, nei centri di raccolta dell’isola, dove rimarranno circa un migliaio di prigionieri fino alla partenza dei tedeschi, nel settembre del 1944, o nei diversi campi di deportazione allestiti nell’area balcanica e nell’Europa dell’Est, circa 2.500 in totale, che seguiranno le vicissitudini degli altri 6-700.000 soldati italiani internati dal governo tedesco; dei 6.400 prigionieri imbarcati a Cefalonia per essere trasferiti sul continente, in Grecia, di cui 2.550 provenienti da Zacinto, circa 1.350, quasi tutti soldati sopravvissuti all’eccidio di Cefalonia, moriranno nell’affondamento di tre navi; da Corfù partiranno circa 9.100 soldati, molti però già provenienti da reparti catturati sul continente, l’affondamento di una nave trasporto provoca molte centinaia di morti, ma è impossibile attribuire le vittime ai reparti di origine. Nel novembre 1944, i militari italiani rimasti a Cefalonia, a cui si erano aggiunti uomini provenienti dal continente, in totale circa 1.300 soldati, inquadrati nel Raggruppamento banditi Acqui agli ordini del capitano Apollonio, rientrano in Italia, ad eccezione di un centinaio di volontari che continueranno la lotta assieme ai partigiani comunisti.


Alla fine della guerra, dei circa 5.000 sopravvissuti della divisione Acqui a Cefalonia solo 3.500 saranno riusciti a tornare in Patria.


Lacken, 3 settembre 2015

1 commento:

  1. "Coltivare la memoria e riscoprire il valore della Resistenza oggi

    per mantenere vivo il fiore della democrazia"

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