"Coltivare la memoria e riscoprire il valore della Resistenza oggi
per mantenere vivo il fiore della democrazia"
Subito dopo l'8 settembre, il maggiore
Diego Boldrini (Ferruccio), incaricato dallo stesso Gino Tommasi, a nome del
Cln di Ancona,
iniziò ad organizzare un nucleo partigiano. Intanto a Montelago, un paesino
sopra Sassoferrato, che domina la vallata su cui scorre la strada che porta
verso l’Umbria, si erano rifugiati molti renitenti alla leva che assieme ad
altri giunti dalla provincia costituirono il distaccamento di Montelago, che
successivamente divenne il gruppo Cacciatori della Foria. A Sassoferrato
intanto si costituiva il Cln, al comando di Diego Boldrini. L’insieme dei
gruppi della zona costituirono il III battaglione Ferruccio, inquadrato nella V
Brigata Garibaldi, e controllava la zona montana attorno ai comuni di Fabriano, Sassoferrato, Arcevia,
Genza, Cerreto d'Esi, Serra San Quirico, Jesi. Quando Boldrini ebbe l'incarico di comandante di zona
da parte del CLN, il distaccamento di Sassoferrato fu affidato al capitano
Pietro Loretelli.
Partigiani a Sassoferrato
Il III battaglione Ferruccio ostacolò
l'azione dei tedeschi e ne ritardò la ritirata attraverso numerose azioni di sabotaggio, come la distruzione del
ponte di Perticano sul Sentino, sulla statale Sassoferrato-Scheggia. Nel crollo
del ponte rimasero coinvolti una dozzina di soldati tedeschi e il carro armato
sul quale viaggiavano. All’inizio di luglio, a Casacce, i partigiani del gruppo
Cacciatori del Foria assaltarono una colonna tedesca, la quale sorpresa
dall’attacco improvviso, si ritirò. La popolazione nei giorni successivi lasciò
il paese evitando le rappresaglie dei tedeschi, che infatti distrussero Casacce
pochi giorni dopo.
Molti soldati, per lo più inglesi, evasi dai campi di internamento di Fabriano e di Sassoferrato, furono accolti dai gruppi
partigiani della zona.
La liberazione di
Sassoferrato avvenne il 26 luglio 1944 quando un primo nucleo di partigiani
entrò in paese, a cui fecero seguito gli inglesi dell’VIII Armata. Nei giorni
successivi i tedeschi provarono più volte a riconquistare Sassoferrato e vi
furono diversi scontri con i partigiani che avevano organizzato un servizio di
avamposti su un fronte piuttosto ampio che andava dal monte Strega al fiume
Sentino. Alla organizzazione delle operazioni provvide il comandante Ferruccio
impegnando i tre distaccamenti che aveva a disposizione, coadiuvati, di giorno,
anche dalle truppe inglesi, le quali però la sera rientravano a Fabriano. La
situazione si stabilizzò solamente il 6 agosto quando i tedeschi iniziarono la
ritirata oltre la linea di Morello. Il 13 agosto le ultime formazioni del III
battaglione deponevano le armi, nel frattempo gli inglesi avevano preso
possesso della città a nome del governo militare alleato. Diego Boldrini era
stato nominato Sindaco dalla Prefettura di Ancona. La prima giunta della Sassoferrato
libera fu composta dai rappresentanti di tutti i partiti che avevano aderito al
Cln e vice sindaco venne nominato il francescano padre Angelo Mazzini, già
membro del Cln di Sassoferrato.
Campo
d’internamento al Monastero di Santa Croce
Monastero di Santa Croce - Sassoferrato
Nel giugno del 1942 la prefettura di Ancona
prese in affitto i locali del Monastero di Santa Croce di Sassoferrato di
proprietà del Monastero di Fonte Avellana, per insediarvi un campo di
concentramento per internati politici. I locali eranocompletamente privi di
arredamento e pertanto la fase organizzativa fu lunga. Solamente nel febbraio
dell’anno successivo arrivarono i primi internati sebbene il campo fosse ancora
quasi privo di attrezzature per ospitarli. La direzione era stata inizialmente
affidata al locale podestà, con la sovrintendenza del direttore del vicino
campo di Fabriano, poi successivamente fu assegnata a un funzionario di
Pubblica Sicurezza. Il convento poteva ospitare fino a 120 persone, ma nel marzo del ‘43 erano
presenti 13 internati provenienti dalle zone occupate della Jugoslavia, nel
maggio successivo le presenze raggiunsero le trenta unità e nell’estate
aumentarono ancora. Di fatto, però, la struttura rimase quasi sempre semivuota
a causa della mancanza di casermaggio. Oltre all’insufficienza d’acqua e alle
carenze igieniche, la condizione degli jugoslavi internati a Sassoferrato era
resa ulteriormente precaria dalla severità con la quale veniva applicato il
regolamento. Nel settembre del 1943 il campo venne dimesso, per poi essere
ripristinato dalle autorità della RSI nel febbraio del 1944.
Moie, 25 agosto 2015
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